giovedì 24 aprile 2014

Volontariato, Infermieristica e cooperazione: una parte di me! Il mio contributo, la mia esperienza.

Voglio condividere con Voi amici, in questo piccolo spazio riservato anche alla professione infermieristica, alcune considerazioni in merito alle mie esperienze come semplice volontario internazionale nel mondo.

Sento da tempo, davvero mia, una stupenda frase di Jorge Luis Borges che dice: «Sono cieco e ignorante, ma intuisco che sono molte le strade». Amo da sempre osservare, scoprire, capire a fondo, testimoniare… ritengo siano state proprio queste mie particolarità, (insieme al mio amato blog viveresisteresistendo.com), a portarmi a vivere le esperienze che mi accingo a raccontarvi...

Da quando ho intrapreso il mio percorso di studi fino alla laurea in infermieristica, ho sempre pensato di voler mettere la mia formazione al servizio di quelle persone che, senza colpe, vivono in condizioni di povertà (cioè mancanza di opportunità!) ed emarginazione. 

Alla luce di ciò, appena posso, salgo su un aereo e raggiungo quei posti dove ho sempre pensato di andare… Luoghi dove le persone sopravvivono resistendo a governi corrotti, alla povertà, alla mancanza dei più elementari diritti, come il diritto alla salute, alla casa, al lavoro e alla libertà d'espressione. Non è per niente facile ma con tanta buona volontà, la ricerca infinita dei contatti giusti e sacrificando molte delle mie ferie per ora riesco a farcela!

I miei viaggi, come semplice volontario internazionale, sono iniziati nel 2009 e da allora non mi sono più fermato. Grazie all'associazione piacentina "Amici di Michele Isubaleu" ho prima conosciuto l’Africa e in particolare lo straordinario popolo etiope, rispettoso, gentile e culturalmente ricchissimo. E' difficile, in poche righe, trasmettervi ciò che ho vissuto: la profondità di alcuni incontri, la solidarietà fra esseri umani, la voglia di comprendere “l’altro”… è stato un viaggio davvero emozionante, ricco di lavoro e di soddisfazioni.

Nel 2010, con la stessa associazione, sono ripartito per l'Etiopia.
Questo secondo viaggio l'ho vissuto in modo diverso rispetto al primo: è stato più intenso e toccante.
Senza più quei "bagliori" della prima volta, la realtà ha preso il sopravvento e diverse cose sono state difficili da accettare. Tra il 2010 e il 2011 sono ritornato in Africa altre tre volte; da solo sono stato prima in Sudan, ospite del centro di cardiochirurgia di Emergency, e poi ancora in Etiopia.
Qui ho avuto la fortuna di incontrare di nuovo mamme fortissime, contadini rurali e diversamente abili quasi totalmente abbandonati (pensate cosa comporta esserlo in un paese del Sud del mondo…); tutte persone con una forte dignità, umili, ricche di umanità alle quali ho potuto stringere forte le mie mani e dalle quali ho solo potuto imparare. Essere poi ospite in Sudan, nella grande realtà del "Salam" di Emergency, per me è stato un onore e lavorare di nuovo in Etiopia… un piacere.

In Africa tutti i mie agi, tipici della società occidentale basata sull’eccessivo consumismo, hanno “sbattuto” più volte contro la povertà, la fame e la sottonutrizione.
Quest’ultima, se non contrastata, diventa ben presto malnutrizione la quale, peggiorando ulteriormente, si trasforma in ultima istanza nel marasma infantile... nel “kwashiorkor”.
Si tratta della sindrome da denutrizione del lattante e del bambino causata da grave carenza di proteine e di sostanze micronutrienti (elettroliti, minerali e vitamine) quali il ferro, lo iodio, la vitamina A, il calcio, la vitamina C ecc.
Gli effetti? Astenia, perdita di peso, ritardi nella crescita, gozzi, cretinismo, deficit alla vista nonché maggiore vulnerabilità a malattie infettive quali il morbillo, le infezioni respiratorie, la diarrea. 
Quanto specificato sopra, insieme al mollusco contagioso, carie dentali, tigna, tifo, congiuntiviti e dermatiti sono state le principali patologie che ho riscontrato durante le mie piccole esperienze (senza dimenticare ovviamente HIV e TBC).
Ad ammalarsi di più lattanti e bambini e il solo pensiero dovrebbe far rabbrividire!

Nel novembre 2011 ho deciso di rimettermi ancora una volta in gioco iscrivendomi al master in cooperazione internazionale presso l'università di Modena. Grazie ad esso ho avuto la grande opportunità di conoscere tanti altri giovani cooperanti provenienti da tutta Italia (confrontare le nostre esperienze è stata la cosa più bella) ma, soprattutto, ho potuto mettermi alla prova in un altro continente: l'America Latina.

Chi di voi s'interessa di questioni internazionali sa bene quanto l'America Latina e in particolare il Brasile (insieme agli altri stati del BRIC, Russia, India e Cina) sia in fermento; in particolare mi premeva approfondire le questioni legate ai cambiamento politici e sociali che si sono abbattuti nel continente Sud Americano e al nuovo modello di sviluppo economico (mi interessava inoltre scoprire il più possibile anche dei movimenti sem terra e l'approccio della gente comune alla teologia della liberazione... ). 
Spinto da questo nuovo interesse, grazie all’associazione Pachamama, ho volato con Maria (collega Infermiera di Torino) in Alagoas, uno degli stati più poveri del Brasile e di tutto il continente.
Insieme abbiamo cercato di migliorare il grado di "coscientizzazione della salute" di tanti contadini (i sem terra) che, supportati da movimenti popolari (la CPT- Commissione Pastorale della Terra) aiutano a resistere contro le forze del latifondismo, così ancora forte e disseminato.

A Gennaio, sono stato in Kenya per la prima volta, ospite del Fatima Health Center di Ongata Rongai, nei pressi di Nairobi. Qui ho incontrato persone che da decenni con coraggio, fede e passione, hanno deciso di dedicarsi a centinaia di persone bisognose: anziani, donne gravide, bambini abbandonati o rimasti orfani, malati di Hiv, Tbc, malaria, amebiasi, diarrea ecc.
Alcuni di questi coraggiosi volontari ho avuto la fortuna di conoscerli personalmente percorrendo con loro un pezzetto di cammino insieme; altri, che non erano presenti in quei giorni, li ho conosciuti attraverso racconti fatti durante una pausa, a tavola, durante uno spostamento... sballottato su di un pick-up... su strade polverose e sterrate. Qualcun altro, invece, che ci ha lasciato da qualche tempo, l’ho conosciuto attraverso il ricordo vivo e ben presente tra le mura del Fatima Health Center: basta passeggiare tra i vialetti ben curati e i servizi sanitari a disposizione della popolazione per rendersene conto, per essere avvolti da un'accogliente e fiera sensazione. Nato in modo per niente facile negli anni 70, il Fatima oggi è diventato un importante centro di riferimento per la salute e la crescita sociale di tantissime persone bisognose.

Infine a ottobre di quest'anno, molto probabilmente, volerò in India per un'altra breve missione... non vedo l'ora!

La nostra società è spesso dominata dall’individualismo, da un certo egoismo e menefreghismo sociale per non parlare della corruzione… ecco, se c’è una cosa che ho potuto imparare dai miei viaggi è che spesso, molto spesso, individualismo e tutto il resto sono sopraffatti e annientati se messi al confronto diretto con quelle persone che provengono dalla pancia dei problemi e che lottano tutti i giorni attraverso la carità, la cultura, la compassione, la formazione (e l'informazione) contro le disuguaglianze, la mancanza di diritti, la mancanza di legalità. Per quanto mi riguarda ho sempre sperato d'incontrare persone dalle quali poi rubare qualcosa e fino ad ora posso davvero ritenermi fortunato; in questi viaggi ho avuto la fortuna di essere accompagnato, anche solo per poco, nella maggior parte dei casi, da persone che mi hanno sempre donato tanto; parlo di persone coraggiose, curiose, tenaci e che ricorderò per sempre. Alcune di loro non possedevano nemmeno un paio di scarpe, sono state frustate, mandate via dalla propria terra oppure hanno tagliato la canna da zucchero per cinquantatré anni in condizioni disumane. Altre hanno donato interamente la propria vita al prossimo (penso a tutte le Sisters incontrate in piccoli villaggi sperduti in Africa). Grazie a loro, oggi, credo sempre più chi i ragazzi abbiano bisogno di esempi da seguire, che per me vuol dire persone da scovare… nella casa di fronte o nel continente più lontano non ha importanza... e sono davvero convinto che le persone più umili e spesso più povere siano le più generose… siano quelle.

Persone cioè in grado di colmare la vita…di vita!

Voglio concludere facendo una piccola osservazione in merito alla mia professione (infermiere).

Le mie brevi esperienze come volontario internazionale nel mondo mi permettono di considerare una questione del mio lavoro poco dibattuta e analizzata.

In generale succede che le associazioni Onlus e ONG, che lavorano nell'ambito della cooperazione internazionale, per necessità di mantenimento o supervisione dei propri progetti, offrono ai giovani diverse opportunità per inserirsi professionalmente nel mondo della cooperazione internazionale.
Le figure di riferimento più ricercate sono i project manager, i desk officer, i logisti (sempre più ricercati e fondamentali), i collaboratori, i tecnici specialisti, i supervisori ecc. ma non l’infermiere!
L’associazionismo, mi viene da pensare, si dimentica o non conosce il vero ruolo dell'infermiere; se fosse consapevole della reale potenzialità di cui questa figura dispone, sicuramente sarebbe una delle principali figure professionali più ricercate. Peccato. Non parlo solo di quelle azioni legate al prendersi cura della persona, all'assistere l'individuo nella sua praticità (tutte azioni che fanno parte del nostro DNA e della nostra quotidianità), mi riferisco anche a compiti gestionali, legati alla formazione, alla supervisione, al management, alla relazione... perché l'infermieristica è tanto ma tanto altro (e noi infermieri lo sappiamo bene!). Sono sempre più convinto che la professione infermieristica può ricoprire un ruolo fondamentale nell'ambito della cooperazione internazionale per diversi motivi.

Il primo deriva dalla formazione universitaria: oggi l'infermiere riceve nozioni di demo-etno-antropologia, diritto, bioetica, deontologia, economia sanitaria, management, ed ha l’opportunità di frequentare master molto specifici legati alla cooperazione. Il secondo aspetto da considerare è il codice deontologico in perfetta sintonia con la dichiarazione universale dei diritti umani.
Infine non si può trascurare il terzo motivo: il profilo professionale (d.m.739/94).
Tutti riconoscono l’infermiere un professionista (intellettuale, competente, autonomo) e forniscono all'infermiere i necessari strumenti per essere protagonista nei Paesi in via di sviluppo.

A mio avviso inoltre esiste un legame molto importante e avvincente tra la professione infermieristica e la disciplina antropologica, legame da non sottovalutare nell'ambito della cooperazione internazionale (oltre che nella pratica comune di tutti i giorni).
Antropologia e nursing sono annesse una con l'altra ed entrambe sono in perfetta armonia e sintonia con lo studio e la cura dell'uomo in senso olistico; si rivolgono all'essere umano, alla famiglia, al gruppo e alla collettività.

Il prendersi cura infermieristico possiede la particolarità di poter meglio raggiungere l’individualità dell’uomo, più di altre professioni, proprio perché sono fondate sulla comprensione dei bisogni primari e assistenziali, oltre ovviamente a quelli di tipo sanitario per tali motivi l'infermiere possiede quella giusta preparazione per assicurare l'attenzione necessaria, nell'ambito della cooperazione internazionale, a garantire quell'approccio "micro", attento alle singole iniziative, alla mobilitazione delle risorse locali, tutto questo per operare insieme per il raggiungimento di un fine comune, che possa essere il più possibile adeguato, fattibile, realizzabile, efficace ed efficiente.
L'infermiere può quindi essere utilizzato nella cooperazione internazionale per molteplici motivi: può essere utilizzato nella formazione (è un dovere morale ed etico condividere il sapere che abbiamo; fornire i giusti strumenti conferisce dignità e rispetto alle persone e dà loro la possibilità di avere qualcosa su cui basarsi per riscattarsi), può risultare fondamentale nella supervisione, nell’organizzazione, nella relazione, nella mediazione.
Inoltre oggi l'infermiere non solo ha la grande possibilità di gestire l'intera sequenza delle fasi di pianificazione, analisi, formulazione, gestione e valutazione di un intervento di sviluppo (parliamo di PCM – Project Cycle Management) ma, grazie a specifici master universitari, ha l’opportunità di specializzarsi e costruire progetti valutabili nell’immediato o a lungo termine.

Ho sempre vissuto le mie esperienze nei Paesi in via di sviluppo approcciandomi sempre con grande rispetto, grande profondità, osservando molto e cercando di non cadere mai nelle famigerate trappole etnocentriche (spesso non riuscendoci!). Chi lavora nell'ambito della cooperazione internazionale sa bene quanto essa sia piena di contraddizioni, di difficoltà, speculazioni e soprattutto errori, ma sa anche quanto sia fondamentale e gratificante riscoprire il valore della solidarietà umana intesa come relazione di fiducia, rispetto, riconoscimento dell’altro e dei suoi valori, rapporto di giustizia, di aiuto e di interesse reciproco per il bene e la crescita comune e la convivenza pacifica.

L'infermiere può mettere in atto tutto ciò. 
L'infermieristica non è anche tutto questo?